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Avrei dovuto premere il campanello con la dicitura: “Redazione”. Guardai l’orologio; avevo ancora venticinque minuti a disposizione. Arretrai di un passo e prosegui a camminare lungo il viale. Avevo ripreso a contare i miei passi per tranquillizzarmi meglio. Mi venne a mente quella volta che la “
Accessori Riguardi“, acquistò una ditta del “packaging”, un’industria media della Germania del sudovest, posta sulle rive del Reno, nella così detta “Dreiländereck” (l’angolo delle tre terre), per ampliare la gamma dei propri prodotti. Io ero incaricato di fare un primo rilievo sul posto, al fine di preparare un catalogo nuovo, da affiancare al nostro. Parlai con l’allora capo del personale e gli chiesi di darmi una panoramica del personale e del lavoro che svolgevano. Mi mostrò allora una raccolta di biografie brevi che raccoglieva da circa tre anni, affinché alcune caratteristiche del personale dessero un volto all’azienda.

La cura di tali biografie era nelle mani di una redazione interna, che non dipendeva direttamente dalla “leadership“ aziendale. Le pubblicazioni avvenivano a un ritmo mensile su un “Network” interno ed erano accessibili anche alla clientela della suddetta ditta. Le biografie erano state fatte attraverso delle brevi interviste scritte, che non erano sottoposte a censura e pose l’accento che quella era una regola fondamentale in una ditta moderna. Ciò che più gli premeva, erano i termini o parametri indispensabili per definire le regole di una “micro biografia”; quali approcci fossero adottati da un gruppo redazionale che non aveva alle spalle una preparazione specifica professionale nel settore giornalistico. Mi spiegò che la scelta degli intervistati non dipendeva naturalmente dal sesso o dall’età della persona in questione, ma e solo dalla caratterista della persona stessa in quel dato momento. Oltre al personale qualificato con regolare contratto di lavoro, vi erano tra gli intervistati anche gli apprendisti, che avevano scelto di iniziare in quell’azienda il loro percorso professionale.

L’attività principale era l’elaborazione delle immagini che potevano soddisfare le esigenze dell’industria del “packaging”.

Mi piacque molto l’idea di una redazione interna alla ditta che si occupava di darsi un volto, attraverso le facce del personale, e sviluppata in maniera autonoma dai giovani che erano interessati a un’attività integrativa alla propria mansione. Avrei voluto introdurre tale attività anche nella nostra ditta, sempre che il mio direttore ne avrebbe saputo valorizzare il contenuto e la creatività dell’iniziativa. Invece, quando glie ne parlai, corrucciò la fronte, si fece scuro in faccia e sobillò che per prima cosa avrebbe proibito il proseguimento di tale nefandezza. Le informazioni che andavano raccolte sul personale dovevano servire solamente a migliorare l’efficienza della produzione e il controllo dei lavoratori. A questo scopo si adattava meglio la presenza di una specie di servizio segreto interno che doveva raccogliere tutte le informazioni possibili su tutto e tutti. Mi disse anche che apprezzava i metodi dei servizi segreti della Germania comunista, che erano quella che maggiormente si adattavano a creare un clima di diffidenza tra il personale, cosicché molto difficilmente, avrebbero potuto unirsi in un sindacato o una tale diavoleria che era buona solo a rovinare i padroni. Non dissi nulla per non compromettermi, ma fu come se dovessi mandar giù un rospo.

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